martedì 19 febbraio 2013

Lazio al voto dopo il massacro di batman dello scandalo infinito pdl

ma anche dello shopping con la scorta della Polverini delle infinite cene al ristorante della destra di Storace dei soldi sprecati dall'udc e dalla mancata attenzione del pd che non ha potuto ricandidari i suoi consiglieri uscenti perchè ritenuti (dal pd) inadatti e non candidabili REGIONE LAZIO, LA BATTAGLIA SULLE MACERIE DI BATMAN ZINGARETTI IN TESTA, STORACE INSEGUE, BARILLARI PIÙ INDIETRO ELECTION DAY SONO DODICI i candidati alla Presidenza della Regione Lazio. Oltre Nicola Zingaretti e Francesco Storace, ci sono Giulia Bongiorno (Monti, foto 1), Sandro Ruotolo (Riv. Civ, foto 2), Davide Barillari (M5S, foto 3), Giuseppe Rossodivita (Radicali, foto 4), Alessandra Baldassari (Fare), Simone Di Stefano (Casapound), Roberto Fiore (Fn), Luca Romagnoli (Ft), Luigi Sorge (Pcl) e Pino Strano. di Enrico Fierro Altro che “nuovo inizio”, il Lazio ha bisogno di essere rivoltato come un calzino. Dalle dune di Sabaudia ai monti della Ciociaria, dalle terre dei “burini” alle sterminate e multietniche periferie del capoluogo-capitale, la regione è dentro il vortice di una crisi mai vista prima. Economia a picco, credibilità della sua classe politica sotto zero. Hanno voglia a presentarsi con i loro sorrisi ringiovaniti dal Photoshop i dodici aspiranti alla poltrona più importante della Pisana, sbirciando i manifesti elettorali i romani e i laziali in genere (due categorie a parte) vedranno sempre una faccia sola, quella di Francone “er Batman” Fiorito. Il suo volto barbuto, i modi spicci, le cene alla Trimalcione, l’accento romanesco esibito come orgoglioso tratto identitario, saranno ancora per anni la maschera impressa sulla faccia della politica e dei politici laziali. Perché è vero che Fiorito faceva la bella vita con i soldi dei consiglieri regionali del Pdl, ma erano fondi pubblici, tanti, tantissimi, che generosamente tutti i partiti si sono assegnati e allegramente spartiti alla Pisana. Senza mai dividersi, senza discussioni, evitando litigi. IN POCHI, i Radicali, denunciarono, in tanti fecero finta di non vedere, tutti incassarono punto e basta. E allora “il nuovo inizio” di Nicola Zingaretti, ex golden boy della sinistra, da giovanissimo segretario della Fgci, da adulto eurodeputato e supervotato presidente della Provincia di Roma, rischia di non bastare. Il messaggio – lui, il fratello del Commissario Montalbano, che abbraccia i vecchietti alla Asl, incoraggia i disoccupati, consola gli ammalati – all’inizio aveva anche fatto breccia, i sondaggi, anche gli ultimi pubblicabili, lo portano avanti, vincitore, ma qualcosa si è appannato. Sempre i sondaggi, gli ultimissimi che non possono essere pubblicati, ora mostrano uno scenario diverso: Zingaretti è sempre in testa ma cala, Francesco Storace, l’ex governatore scelto da un Pdl alla frutta come candidato-Kamikaze, invece, sale. E pure velocemente. Colpa di una clamorosa denuncia del radicale Giuseppe Ross odivita , candidato anche lui alla Presidenza. Zingaretti, si legge nell’esposto, il giorno prima di essere candidato alla Presidenza della Provincia, sarebbe stato assunto dal Pd con uno stipendio da 8 mila euro lordi mensili. Un’assunzione poi scaricata sull’ente che per legge deve versare contributi e tfr alla fine del mandato, a conti fatti qualcosa come 100 mila euro di soldi pubblici spesi. Una brutta storia, un colpo basso per Zingaretti precipitato nell’abisso degli odiosi privilegi della casta alla amatriciana. “È una vergognosa macchina del fango”, è la risposta sdegnata del candidato del centrosinistra. Intanto in procura è stato aperto un fascicolo e Ciccio Storace gongola e rispolvera i toni di quando era “Epurator”. “È una storia triste, a me fecero il culo, a lui nessuno lo tocca sulla spalla e gli dice ahò ma che hai fatto? L’ho detto a Gianni (Alemanno, ndr), se io conquisto la Regione e tu ti riprendi il Comune, risorge la destra in Italia”. “Ora credici”, è lo slo gan scelto dall’ex colonnello di Fini (anche se ora Gianfranco, che si è alleato con l’Udc candidando Giulia Bongiorno, lo definisce “una minestra riscaldata” che in Lazio ha già perso una volta), e lui davvero ci crede. QUATTRO MILIONI di elettori e il voto per la Regione che, grazie all’election day, si trascina quello per le politiche. Il Senato, soprattutto. È a Palazzo Madama che si faranno i giochi per il futuro governo e di senatori il Lazio ne elegge 28, 16 vanno alla coalizione che vince, 12 all’opposizione. Per questo i giorni che ancora ci separano dal voto saranno giorni di fuoco. Con il Pdl e Storace che premeranno l’acceleratore sul voto utile appellandosi ai militanti di CasaPound (candidato Simone Di Stefano), della Fiamma Tricolore (Luca Romagnoli) e di Forza Nuova (Roberto Fiore ). Identici appelli arriveranno dal Pd alle altre formazioni della sinistra come “Rivoluzione civile” di Antonio Ingroia che corre da sola e candida come presidente il giornalista Sandro Ruotolo . Battaglia tutta aperta in una regione sull’orlo del baratro. Le cifre della crisi sono impietose. Nel Lazio l’Irap e l’Irpef sono tra le più alte d’Italia, la sanità, deficit ereditato dalla gestione Storace di 10 miliardi, è commissariata. A Roma, dati Confcommercio, chiudono 60 imprese commerciali al giorno, 90 nell’intera regione, un salasso per un territorio che dal 2009 a oggi ha perso 100 mila posti di lavoro e ha visto la cassa integrazione arrivare a 90 milioni di ore. Che fare? “Mandare tutti a casa”, è la ricetta di Davide Barillari, aspirante governatore del M5S. Nessuna alleanza preelettorale, la certezza anche qui di un boom elettorale, nonostante i dati dei sondaggi, che sono buoni ma non utili per conquistare il vertice della Pisana. “I sondaggi ci sottostimano”, replicano sicuri i “grillini”, che hanno già raccolto 320 curricula di aspiranti assessori e aspettano venerdì. Grillo a Piazza San Giovanni, un milione di persone, lo tsunami che travolge Montecitorio, la Pisana e il Campidoglio. Sì, perché nel Lazio le elezioni non finiscono mai. A maggio si vota e Gianni Alemanno si gioca la poltrona di sindaco. Il fatto quotidiano 20 febbraio 2013

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