martedì 23 ottobre 2012

All'ombra dell'Ilva di Taranto vita al centro tumori

All’ombra dell’Ilva, vita al centro tumori di Maria L. Mastrogiovanni Taranto Paola D’Andria si sveglia tutte le mattine alle sei. Esce velocemente da casa col pensiero ai “suoi” amici, che assiste volontariamente a tempo pieno. È in pensione, ha 65 anni e una giornata piena davanti. Lei, responsabile territoriale dell’Ail (associazione italiana contro le leucemie, linfomi, mieloma) tutti i giorni gira come una trottola. “Quando tocchi con mano questo mondo non puoi più liberartene”. Il “mondo” è quello fatto di visite domiciliari, di su e giù nei corridoi della Struttura complessa di Oncoematologia dell’ospedale Nord di Taranto, di colloqui con i medici e i pazienti, di prelievi per verificare il livello di emocromo nel sangue, per poi tornare in ospedale, aspettare i risultati, tornare a casa dai pazienti con la sacca di sangue, se il livello di emocromo è quello giusto e possono essere sottoposti alla trasfusione; oppure con la terapia chemioterapica, se il livello di emocromo è quello giusto e possono fare la flebo. Se è necessario, torna a casa dai pazienti con il medico, o lo psicologo o l’assistente sociale. Le auto dei volontari dell’Ail scorazzano su e giù dall’ospedale per tutta la città e la provincia: 50 anime al giorno, 50 storie, 50 persone diverse colpite da tumore ricevono le cure a domicilio. UNA PSICOLOGA, due medici, quattro infermieri professionali, un fisioterapista, un’assi - stente sociale. E poi Paola che sovrintende. L’associazione riceve in convenzione con la Asl 1.500 euro l’anno a paziente: in tutto ne assiste 160 e questi soldi coprono meno della metà del budget necessario. Il resto, lo fanno i fondi raccolti tra i cittadini, i malati e i loro familiari. Che poi sono la maggior parte dei volontari. “Ogni mattina, ogni porta, apre un mondo”. Come quello di Maria, 40 anni, che ha appena iniziato la chemioterapia e aspetta nel corridoio di Oncoematologia i risultati dell’emocromo; o Valeria, 20 anni, che ha appena affrontato il trapianto di midollo; o Giorgio, 7 anni, che con mamma e papà aspettano il primario, Emilio Iannito, per il controllo post trapianto. L’atmosfera è serena. “Non ho mai visto persone forti come queste”, dice Paola. Soprattutto le mamme, che sorridono, sempre. I bambini invece sono inconsapevoli del loro male ma non della cura, che fa paura. Oggi in reparto è venuto a trovarla Giovanni. Aveva 3 anni quando si è ammalato di leucemia. Paola ricorda ancora, con la voce che diventa roca, quando lo incontrò accompagnato dai genitori fuori dalla porta dell’ufficio del primario: era l’ultimo controllo dopo il ciclo di chemioterapia. Si apre la porta. Le facce sono buie. Il male è tornato. HA COLPITO anche il fegato e Giovanni sembra non avere speranza. Ma tra l’inizio della chemioterapia e il ripresentarsi del tumore è nato il suo fratellino, che dona il midollo. Giovanni si riprende, ricomincia a camminare e poi a correre. Ora ha 16 anni: “Un legame indissolubile tra noi, vado a trovarlo e lui viene sempre anche in reparto. Il suo mondo ora è anche il mio”. Il clima, quando arriva un risultato positivo, un esame andato bene, un trapianto dall’esito che fa sperare, è euforico. Si respira ottimismo e positività, perché “il legame tra gli infermieri, i medici e i pazienti è osmotico, speciale”. Nessuno però è preparato di fronte alla morte. Non i volontari, non chi lavora in reparto. Lì, così come si condividono le gioie per il buon esito di una terapia, così tutti si stringono attorno agli altri operatori e agli altri pazienti, quando arriva la notizia di un decesso. Ed è inevitabile. A Taranto si muore per tumore l’11% in più che nel resto della Puglia. Lo dice il recente rapporto “Progetto Sentieri” pro - mosso dal Ministero della Salute nell’ambito del Programma strategico nazionale “Am - biente e Salute”, coordinato dall’Istituto superiore della sanità sui siti inquinati, che rileva come a Taranto vi sia un “ec - cesso di mortalità”. “Non è per niente facile stare qui e affrontare ogni giorno le morti – con - clude Paola – è facile invece fare il ministro da Roma e dare in ritardo i risultati”. Il fatto quotidiano 25 ottobre 2012

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