lunedì 13 agosto 2012
La bomba chimica sul Lago Maggiore la Syndial-Eni e il ddt nel fiume Toce
La bomba chimica
sul Lago Maggiore
IL CASO DELLA SYNDIAL-ENI
E IL DDT NEL FIUME TOCE
L’azienda deve risarcire lo Stato
per circa 2 miliardi. Ma un codicillo
berlusconiano l’ha finora salvata
di Alfredo Faieta Il Fatto quotidiano 10 agosto 2012
Milano
APieve Vergonte, 2700 anime
in provincia di Verbania
sul fiume Toce, si guarda
alla Taranto dell’I l va
con una certa speranza. In questo
paesino su un affluente del
lago Maggiore, a 15 anni di distanza
dall’iscrizione tra i siti di
interesse nazionale del ministero
dell’Ambiente, non è ancora
partito il ripristino dei luoghi
avvelenati dal Ddt sversato per
anni nel fiume dalla Syndial,
un’azienda già di proprietà del
gruppo Eni. A quattro anni dalla
sentenza che ha condannato la
società petrolifera a risarcire il
ministero della cifra record di
1,8 miliardi di euro, il pagamento
del corrispettivo è ancora sospeso.
Maria Grazia Medali, vicesindaco
e assessore all’Ambiente, denuncia
la lentezza del ministero:
“La zona a valle del Paese,
con epicentro lo stabilimento
ex Rumianca e fino al Lago Maggiore,
è inquinata. E non c’è solo
il Ddt: in 90 anni questo sito,
nato per fabbricare prodotti
bellici, ha prodotto altre scorie
n o c i ve ”. Il Ddt è stato messo al
bando nel 1969, ma a Pieve è
stato prodotto fino al 1997
quando lo stabilimento fu bloccato
per la scoperta del grave inquinamento
del lago Maggiore
da parte del Cipais. “Nel 2000,
quando ci fu l’ultima piena del
Toce, l’acqua con i sedimenti
del Ddt è fuoriuscita depositandosi
sui terreni circostanti”.
PIEVE è il campo di battaglia di
una guerra ambientale che contrappone
il ministero dell’Am -
biente all’Eni. A Pieve si decide il
destino ambientale anche di
Mantova, Cengio (Sv), Avenza
(Ms), Napoli Orientale, Brindisi,
Crotone, Gela, Priolo, e Porto
Torres, tutti altri siti di interesse
nazionale per le gravi problematiche
d’inquinamento dell’ere -
dità Enichem. Nel 1999 la Enichem,
responsabile civile nel
procedimento penale di fronte a
Verbania, si impegnò alla messa
in sicurezza e alla bonifica delle
aree, grazie al quale gli imputati
furono ammessi al patteggiamento.
Patti cui la Syndial (dov’è
confluita la chimica Eni-Enichem)
si è rivelata inadempiente,
come ha statuito la sentenza
civile del 2008 del Tribunale di
Torino che ha condannato il
gruppo al maxi-risarcimento.
“Senza una completa bonifica,
oltre al grave problema sanitario,
il Paese perde ogni possibilità
di sviluppo” aggiunge la Medali.
“Le imprese non vengono
più a investire, non hanno certezza
sulla situazione ambientale.
Anche il prezzo degli immobili
è crollato. Lo stabilimento,
150 dipendenti contro i 1200
degli anni 60, è della belga Tessenderlo
che lo ha acquistato
per produrre derivati del cloro,
ma non dà corso ai piani di sviluppo”.
Una piccola luce, però,
si intravvede anche a Pieve: “Gli
enti locali hanno ottenuto una
sorta di delega dal ministro Corrado
Clini per seguire il ripristino.
A metà luglio Syndial ci ha
inviato il suo piano di bonifica
che deve essere approvato nei
prossimi 150 giorni e prevedere
la deviazione del torrente Marmazza.
Non voglio farmi illusioni,
ma forse qualcosa inizia a
muoversi. L’unica domanda in
sospeso è: sarà Syndial a pagare
? ”.
GIÀ, CHI PAGA? O meglio,
chi non sta pagando? Per capire
cosa succede occorre fare un
passo indietro. Nel luglio 2008
era arrivata, inattesa per l’esito e
per l’ammontare, la sentenza del
Tribunale civile di Torino che
condannava Eni a pagare 1,8 miliardi
di euro più interessi. Da un
trimestre si era insediato il nuovo
governo Berlusconi con Stefania
Prestigiacomo all'Ambiente
e, mentre la società di Paolo
Scaroni imbastiva il ricorso tuttora
pendente in Appello, Palazzo
Chigi approvava il decreto
208 del 30 dicembre 2008 – con -
vertito nella legge 13 del 2009 –
che disciplina il procedimento
amministrativo per una composizione
in casi di danno ambientale
e di ripristino del territorio
in modo favorevole alle parti.
Per il gruppo petrolifero l’aper -
tura della Prestigiacomo rappresentava
un’occasione imperdibile:
i procedimenti pendenti
non erano giunti a risultati definitivi,
ma altre Pieve potrebbero
in futuro costare troppo caro. Effetto
collaterale non da poco:
portare fuori dalle aule giudiziale
questi contenziosi ha il vantaggio
di evitare sentenze, Ctu,
rilievi e quant’altro potrebbe facilitare
richieste di risarcimento
danni per malattie da inquinamento.
Contestualmente alla difesa
nei tribunali, erano partite
le contrattazioni che a inizio
2011 sfociarono in un’of ferta
complessiva da 1,15 miliardi di
euro più l’abbandono dei siti alle
VELENI
amministrazioni locali per chiudere
in un colpo solo anche tutti
i gli altri contenziosi. Ma se solo
per Pieve era previsto un risarcimento
da 1,8 miliardi, come
giustificare quell’offerta così
bassa? La Prestigiacomo infatti
non firmò l'accordo.
NEL 2009il Parlamento con la
legge 166 modifica chirurgicamente
il Testo unico sull’am -
biente del 2006 su risarcimento
del danno ambientale. Con le
nuove norme, che una sentenza
di Cassazione del 2011 (6551 del
22 marzo) ritiene applicabili anche
ai procedimenti in corso, il
risarcimento del danno diviene
una previsione residuale solo
quando non sia stato possibile ripristinare
i luoghi o non possano
essere adottate misure di riparazione
complementare o
compensative. Decidere come e
cosa fare diventa materia di chi
ha già inquinato. Ma se chi lo ha
fatto sostiene di non essere colpevole,
non si adopera e il ministero
deve attendere molto tempo
per attivare una causa legale?
Si prepari Taranto.
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